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Thomas Cook, chiacchierato avventuriero britannico, sbarcò in Nuova Zelanda nel 1769, innamorandosi del luogo e di una pianta, la Manuka, cui per primo, pare, diede il nome di Leptospermum scoparium per le ramificazioni di questo arbusto, che ricordavano le scope.
Cook la usava moltissimo per curare dalle patologie della pelle a quelle dell’apparato digerente del suo equipaggio e dalla bollitura della corteccia interna, otteneva anche un sedativo.
La Manuka è un rigoglioso arbusto sempreverde della famiglia delle Mirtacee, la cui altezza può variare dai 2 ai 5 metri, fiorisce a metà novembre, ed è di origine neozelandese ed australiana, anche se la guerra per il marchio “Miele di Manuka” è piuttosto accesa tra i due.
Oggi, la parte della pianta utilizzata a scopo terapeutico, è il nettare dei fiori, che le api raccolgono e trasformano nel famoso miele di Manuka.
Agli inizi della sua storia, questo miele era considerato un prodotto di scarsa qualità, forse per il suo sapore amarognolo, tant’è che veniva regalato dagli apicoltori ai produttori di latte, per somministrarlo alle mucche; però, somministra oggi, somministra domani, si realizzò che queste mucche, rispetto agli altri animali, si ammalavano molto meno.
Ed anche la pianta stessa era più resistente alle malattie.
Frena allora la distribuzione gratuita e come direbbe il navigatore dell’auto, ricalcolo; così sono nati i primi studi su questo miele, come spesso accade, spinti in maniera fortuita e per merito degli ignari bovini.
Gli studi hanno evidenziato che il potere antimicrobico, il quale però dipende dalla presenza, e dalla reciproca sinergia, di vari fattori, ed antibatterico, anche se dopo assunzione orale si riduce drasticamente, oltre che antinfiammatorio di questo miele, è dovuto al metilgliossale (MGO), la cui proporzione in ml, può variare tra i 100 agli oltre 1500 di MGO per KG di miele.
Considerata la presenza nel prodotto di più sostanze ad azione sinergica, è stato sviluppato anche il concetto di UMF (fattore unico manuka), metodo che descrive l’efficacia antibatterica, chiamato anche “attività non dipendente da perossido di idrogeno” (NPA).
Il numero può variare da UMF 5+ a UMF 20+; più alto è il risultato, maggiore è l’attività antibatterica del prodotto.
Patologie a carico dell’apparato digerente e respiratorio possono trarre sollievo da questo miele in quanto è un grande sostegno per le difese immunitarie e non solo: il metilgliossale, infatti, interviene sulla crescita e la proliferazione dei batteri, bloccandola.
Pare essere attivo persino contro il famigerato stafilococco aureo, che spesso resiste ai farmaci antibiotici tradizionali. Oltre all’uso alimentare, questo versatile miele, ha anche un uso esterno, sulle ferite, che aiuta nella cicatrizzazione.
Ma quale scegliere come gradazione di MGO all’acquisto?
La regola generale è che più il miele dovrà andare in profondità, più la concentrazione dovrà essere elevata; quindi, le gradazioni più basse di MGO 100+ o 200+ si possono utilizzare per scopi preventivi o per uso esterno, mentre gradazioni più elevate, sono utili in caso di piccoli disturbi.
Se ne dovrebbero usare uno o due cucchiaini al giorno puri, ma se il sapore non fosse gradito, si potrebbero dolcificare infusi o altre bevande oppure lo yogurt: infine, come un normale miele, su fette biscottate.
Notizia poco gradita: è piuttosto costoso, 30 euro circa per 250 gr a MGO 250+., ma ne va usato poco come dicevo, anche per le sue calorie, 320Kcal per 100g di prodotto, che ne fanno un alimento piuttosto energetico.
È questo il momento di pensare ad una prevenzione che ci permetta di affrontare in forze gli attacchi dell’inverno: Il miele di Manuka è una delle opportunità naturali alla quale possiamo affidarci con serenità, ricordando peraltro che ogni miele ha una sua specificità e che quindi, prima di acquistarlo, dobbiamo sapere quale sarà l’uso che ne faremo, per poterne trarre il massimo beneficio.
Vivi la vita!