Lun. Dic 23rd, 2024

GRANCHIO BLU? MA C’E’ ANCHE GAMBERO DELLA LOUISIANA

Simpatizzanti Boomers Attivi, e graditi ospiti, buongiorno!

Ci sono personaggi che per qualche ragione inspiegabile, riescono a rubare la scena agli altri, relegandoli in secondo piano, anche se in realtà non se lo meriterebbero affatto.

Al momento mi riferisco al granchio blu, di cui abbiamo avuto modo di parlare in un recente post, in quanto è balzato agli onori della cronaca, praticamente giornaliera, per il fatto che si sta spazzolando tutte le nostre riserve di cozze e vongole, situazione fastidiosa per le conseguenze che comporta; pace per i gustosi spaghetti alle vongole, ma i posti di lavoro preoccupano assai. Francamente a me non conforta sapere che prima o poi, visto le quantità che se ne pescano, finirà a formare il biogas visto che l’uso in cucina non decolla, quello che mi infastidisce è che sta rubando prepotentemente la scena e quindi l’attenzione ad un altro attore che invece sta facendo cacao nell’ecosistema: il gambero rosso della Louisiana.

Domanda lecita: anche questo crostaceo è arrivato con le navi?

No, in realtà l’iperattivo cannibale ce lo siamo importato volontariamente dalla Louisiana in Toscana, sistemandolo nel lago Massaciuccoli, in quanto, visto che gli americani ne erano ghiotti, abbiamo pensato bene di provare ad allevarlo anche qui, giusto per vedere se gli italiani condividevano lo stesso entusiasmo culinario.

Cattiva idea.

Il Procambarus clarkii, questo il nome scientifico del crostaceo killer, può raggiungere i 20 cm di lunghezza e si riconosce facilmente dal colore rosso scuro. Carapace ruvido, spina alla base delle chele. Si tratta di una delle specie più invasive sul nostro continente; ha colonizzato gran parte dei laghi e dei fiumi a corso lento d’Europa, così le risaie, fossi e piccoli canali. Si riproduce tre volte all’anno, per un totale di 600 uova: giusto per fare un paragone, il gambero autoctono di fiume, più morigerato o più svogliato, non supera le 60/ 80 uova all’anno.

Gambero cannibale ed onnivoro l’alloctono, tant’è vero che in qualsiasi stagno dove è presente, mancano totalmente le rane, perché se ne nutre. È invasivo ed aggressivo anche nei confronti di animali più forti di lui, pure fuori dall’acqua, magari nello scontro ha la peggio, ma questo lo favorisce nella colonizzazione e se nella tenzone perde una chela, la muta dopo la ricostruisce, come le lucertole la coda. Sopporta inquinamento e salinità dell’acqua, quindi si spinge tranquillamente fino alle foci dei fiumi.

È portatore sano della peste dei gamberi, questo significa che a contatto con gli autoctoni Austropotamobius pallipes, li infetta, falcidiandoli.

Come fece la Filossera con le nostre viti, alla fine dell’Ottocento.

Qualche buona notizia però pare esserci: infatti, il mostro delle paludi, pare avere dei punti deboli; innanzitutto, i predatori autoctoni si stanno adattando alla nuova presenza, poi gli aironi sono, come si suol dire, dalla nostra parte in quanto sono golosi del battagliero crostaceo e se li mangiano. Così pure il persico trota, l’anguilla e il pesce siluro. Di quest’ultimo parleremo a parte.

Ma quello che in realtà soffrono di più ed è il loro vero limite, è l’acqua corrente: naturalizzati nelle acque paludose degli Stati Uniti meridionali, mal sopportano l’acqua fredda che scorre, a differenza dei nostri. Meno male.

Un discorso a parte andrebbe fatto sulla loro presunta tossicità che in realtà pare più legata all’habitat in cui vivono che al crostaceo in sé.

Fortunatamente, alcune persone sono dotate di lungimiranza, preparazione e stimolo ad agire, tant’è che è stato costruito il progetto Life Claw, per la salvaguardia del gambero autoctono d’acqua dolce.

Il progetto è co-finanziato dall’Unione Europea e si propone tra gli obbiettivi specifici: creare strutture di allevamento per il ripristino della presenza locale del gambero di fiume, aumentandone gli stock delle più significative popolazioni, al fine di conservare la variabilità genetica della specie nell’Appennino Nord Occidentale; contrastare la dispersione di gamberi alloctoni, ritenuta una delle principali cause di estinzione delle specie originarie negli ecosistemi d’acqua dolce.

“Partner del progetto europeo Life Claw (tra cui il Consorzio di bonifica di Piacenza) sono i ricercatori dell’Università di Parma (sezione di farmacologia e tossicologia del dipartimento di scienze medico veterinarie e dipartimento di scienze chimiche, della vita e della sostenibilità ambientale) rende noto Francesco Vincenzi, Presidente di ANBI (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) inoltre, l’interessante progetto di ricerca, mira ad elaborare protocolli per il monitoraggio dei livelli d’inquinamento da nano e micro plastiche, nonché dei residui ambientali dell’antiparassitario ivermectina, rilevati nei gamberi rossi, considerati quindi una specie sentinella; lo studio porterà alla stesura di lavori scientifici da pubblicare su riviste internazionali.”

“Significativo è che questa importante azione sia svolta, grazie anche alla partecipazione di volontari appartenenti a cinque associazioni piscatorie, che hanno accolto la proposta di collaborazione dopo essere stati formati dai partner di progetto con sessioni teoriche e pratiche” evidenzia Luigi Bisi, Presidente del Consorzio di bonifica di Piacenza.

Con quest’ultimo sono inoltre partner del progetto Life Claw, accanto al Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano (coordinatore): l’Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità Emilia Occidentale, il Parco Naturale Regionale dell’Antola, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’Università degli Studi di Pavia, l’Acquario di Genova-Costa Edutainment, il Comune di Fontanigorda.

Al progetto Life Claw ed ai loro partners vanno dunque tutti i nostri complimenti ed auguri per un fattivo lavoro. Viviamo la vita!

By Boomer1

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