Lun. Dic 23rd, 2024

Armata di buone intenzioni, con un’amica cara e accompagnata da una giovane guida, frizzante nel parlare e molto preparata nello spiegare, Marina Bergonzi, di cui vi invio il link

https://bergonzimarina.wixsite.com/curiousaboutart

(perché ha un sito estremamente interessante, dove pubblica articoli molto stimolanti) con Marina dicevo, siamo state a visitare al Mudec di Milano, la mostra sul Surrealismo.

Movimento artistico inizi ‘900 non di semplice comprensione, perché di decisa rottura rispetto al passato e che va inserito in un più grande periodo quale il Funzionalismo.

Quest’opera di Man Ray, una delle prime che trovate entrando, è abbastanza esplicativa in tal senso. Un ferro da stiro (guardate il tipo di ferro, tipico del periodo) cui sono stati inseriti sotto dei chiodi. Che senso ha? La rottura appunto, lo strappo, un nuovo modo di pensare la realtà.

D’altra parte, cos’è realtà? E siamo sicuri che la realtà sia la stessa cosa per tutti?

Guardate questi quadri di Magritte, quale interpretazione dare loro? Soprattutto il secondo: è notte o giorno? E perché dareste un’interpretazione piuttosto che un’altra?

Non voglio tediarvi, ma incuriosirvi.

Ed invitarvi ad andare a vedere una mostra particolare.

I principi teorici sono consegnati nell’atto di Fondazione del movimento stesso, il 1° Manifeste du Surréalisme di André Breton. Lo scrittore francese affermava che il surrealismo doveva fondarsi sull’ automatismo psichico puro, con cui si esprime il funzionamento reale del pensiero. Intendendo come automatismo l’espressione del pensiero inconscio, libero dalla ragione, dalla morale e dall’estetica. Questo movimento era profondamente interessato alla nuova psicanalisi, fondata da Freud alla fine del diciannovesimo secolo, secondo il quale inconscio è un “luogo” del pensiero umano al di fuori del mondo della ragione.

Il sogno diventa allora una fonte essenziale, perché attraverso il sogno si arrivava ad una versione più autentica della realtà e gli artisti erano i soggetti più adatti a penetrare l’ignoto territorio dell’inconscio.

Ciò che ho “rubato” alla Mostra è questo senso della ricerca interiore, dello scrutarsi per migliorare sé stessi, senza paura, anche accettando i lati più bui.

Nei primi anni del ‘900 Dalì scoprì gli scritti di Freud e ne rimase affascinato tanto da produrre un bronzo dipinto, la Venus de Milo aux tiroirs, probabile allegoria della psicanalisi.

I cassetti sarebbero proprio le pulsioni che teniamo nascoste e che non vogliamo vedere.

Il senso della ricerca, appunto.

Se siete affascinati dall’argomento e dal periodo storico in cui va contestualizzato, è una mostra da visitare, anche perché, per gratificarvi con un po’ di profano, alla fine potreste andare a pranzo o cena al ristorante all’interno del Mudec.

Vale la pena.

Vivi la vita!

By Boomer1

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