Lun. Dic 23rd, 2024

Ieri sera ho passeggiato incuriosita per le strade di una Saint Remy dall’atmosfera ottocentesca, con selciati umidi per la recente pioggia, potendone apprezzare ogni singolo dettaglio, fino a quando nel mio cammino è apparso un cielo che era la rappresentazione esatta de “La notte stellata sul Rodano” di Vincent Van Gogh.

Dimenticavo: tutto questo stando a Milano, seduta.

Ed è stata un’esperienza che realmente non saprei definire.

Bellissima? Commovente? Nuova? Entusiasmante?

Tutte.

E molto di più.

Milano dunque, Lampo Scalo Farini, il più grande dei sette scali ferroviari milanesi, una volta importante e strategico per i trasporti cittadini, ora inutilizzato e trasformato in uno spazio per eventi.

Milano sta restituendo ai suoi abitanti intere zone dismesse della città, ristrutturate e pronte per essere utilizzate come spazi formativi.

Scalo Farini è uno di questi, 40.000 mq tra aperto e chiuso, con ancora manufatti bellissimi dell’epoca, dove è stato ricavato un bar di atmosfera ed uno spazio espositivo, ma sono chiaramente working in progress.

Ma perché Lampo? Mi pare di capire sia una storia iniziata nel 1887 a Palazzolo sull’Oglio.

Tale Giovanni Lanfranchi, capostipite dell’azienda, trasforma il filatoio in una fabbrica di bottoni: c’è chi vede avanti, si chiamano innovatori, usualmente criticati dalle menti chiuse, ma è nel 1995 che arriva il vero colpo di genio: l’innamoramento aziendale per la chiusura lampo.

E l’esclusiva per l’Italia del brevetto della ditta tedesca Ruhrmann.

Oggi Lampo, così onomatopeicamente si chiama l’Azienda, è realtà di riferimento internazionale del settore.

Ma mentre cresce nel business, matura anche sensibilità per la creatività umana e l’ambiente che è, alla fine, creatività divina, e

chiudendo un cerchio di intelligenza, disponibilità e sensibilità proprie di quelle persone che hanno lavorato con fatica e passione, nulla dando per scontato, creano e rendono disponibile uno spazio di lavoro ed idee condivise: Scalo Farini, appunto.

L’ Associazione che cura gli eventi si chiama invece Grande Velocità.

Chissà se anche questo nome è onomatopeico.

All’interno di questo spazio è stata allestita in questo periodo una spettacolare esperienza immersiva su Van Gogh, che non potevo certo perdermi in quanto apprezzo l’artista e la corrente cui appartiene e poi era la prima volta che affrontavo una sperimentazione come questa.

Trovo rientri nella prevenzione, lasciare la mente aperta alle novità.

Un applauso all’organizzazione: navette di trasporto dall’entrata, all’evento, continue, c’è infatti un certo tragitto da percorrere, e personale gentilissimo e disponibile ovunque.

Un Boomer apprezza le attenzioni.

Più di tutti.

Breve nota ora su Van Gogh.

Vincent Van Gogh (1853-1890) bambino dal carattere difficile e solitario, abbandonò gli studi a 15 anni, dopo una frequentazione non certo assidua. La giovinezza la descrive egli stesso “la mia giovinezza è stata triste, fredda e sterile”; nel 1869 comincia a lavorare come apprendista in una compagnia di commercio d’arte di portata internazionale.

L’arte lo attirava, ma il carattere lo danneggiava, tanto da essere congedato dalla compagnia nel 1876.

Negli anni cresceva il suo credo religioso tanto da iscriversi, una volta terminato il lavoro, ad una scuola evangelica ed inviato poi, come missionario, nella regione mineraria di Borinage, in Belgio.

Qui trascura totalmente sé stesso, dedicandosi interamente alla causa dei minatori finché, stremato nel fisico, è il 1880, torna a casa.

E’ questo il momento in cui comincia a dipingere.

Si trasferisce con il fratello a Parigi, dove incontra le opere degli impressionisti e conosce Gauguin e Toulouse-Lautrec; sperimenta con il neoimpressionismo, una nuova tecnica che consiste nel comporre un’opera, avvalendosi di minuscoli punti di colore.

Le sue opere erano incentrate su due colori: il giallo ed il blu.

Si dice perché fosse daltonico e gli risultassero più facili: a me pare un’osservazione un po’ semplicistica.

Come dicevamo, assoggettato ad un carattere con comportamenti a tratti squilibrati, nel maggio del 1889, su consiglio del fratello Theo da lui amato, si fa ricoverare in un ospedale psichiatrico, dove resta un anno.

 Uscito, la sua depressione peggiora, ed il 27 luglio del 1890, a 37 anni, si spara.

Almeno pare sia stato un suicidio, ancorché controverso.

Non muore subito nonostante la ferita mortale, ma due giorni dopo nella pensione in cui viveva, assistito dal fratello Theo.

La pittura è stata la sua rivolta personale ad una società pragmatistica e l’ha pagata con la follia ed il suicidio.

Ritornando all’evento, visitato per altro in una Milano dove nonostante l’impegno, si nota ancora l’offesa, nei suoi spazi verdi, dovuta ai recenti accadimenti atmosferici, è un’esperienza assolutamente innovativa rispetto ad un momento tradizionale ma che consiglio davvero ad ognuno di voi. Soprattutto nelle novità, vivi la vita!

By Boomer1

Related Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *